Non le chiamerei sculture...

introduzione di Rita Cannatella

Se volessimo a tutti i costi individuare un’ispirazione comune in quelli che Gioacchino Cannatella ama definire - non a caso - « legni» piuttosto che «sculture» essa consisterebbe nella volontà di assecondare il più possibile la materia che la Natura gli mette a disposizione.

Già, quello che possiamo definire un vero e proprio Incontro Amoroso con rami, tronchi, radici, in una parola “legni” per l’appunto, pezzi i lignu ha il sapore della casualità, è non predeterminato, magari frutto di una passeggiata all’aria aperta.

Il risultato finale rappresenta così, più che mai, un compromesso tra l’intuizione dell’autore - «Cosa ci vedo?» -  e la strada, anzi i percorsi al plurale che il legno ti suggerisce con le sue curve, asperità, macchie, venature.

è probabile addirittura che il punto di vista dello “scultore” faccia un passo indietro e che il legno abbia la meglio.

Nulla appare forzato.

La tecnica, dunque, solo in rari casi corrisponde alla lavorazione di un blocco (o meglio di un ceppo) intero e squadrato. 

La parola d’ordine è sottrarre il meno possibile per evitare di snaturare  un oggetto, un elemento  del paesaggio che forse, per la sua bizzarra configurazione, opera d’arte lo era già, prima di metterci mano.

Non c’è mai un significato univoco in questi pezzi i lignu. Li ruoti, li capovolgi e subito ti appaiono sotto nuove forme, persino l’autore vi intravede, via via, fisionomie differenti, sfidando l’interlocutore a nuove interpretazioni.

Volti, figure intere, sagome filiformi... Più spesso, tuttavia, in questi legni così straordinariamente “naturali” pur ultimati, la morfologia aveva suggerito, guarda un po’, proprio un animale...

Serpe, lucertola, elefante.

Anzi, no: lupo, volatile, ghepardo.


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